Oggi tutto va ben, madama la marchesa. Non si vede l’ora di sortir di casa. D’assaporare i dispiaceri altrui, di ridere delle disgrazie degli altri. Questa umanità non si rende ancora conto d’essere parte di una storia. Che ogni cosa che viviamo è solo un racconto. Carnefice e vittima recitano ruoli vicendevolmente intercambiabili, e vivere come morire sono le uniche certezze, tutto il resto è aleatorio ed emendabile.
Gino ha 30 anni, è laureato in fisica con il massimo dei voti (summa cum laude) e vive in un grande città del centro Italia. Ha fatto migliaia di domande ad aziende, ha partecipato ad innumerevoli concorsi, ha cercato lavoro in lungo ed in largo. Un lavoro all’università gli è precluso per motivi di censo (suo padre è un ferroviere in pensione), la scuola non ha bisogno di lui, le aziende altamente tecnologiche assumono genietti inglesi, tedeschi o giapponesi perché sono molto più trendy di Gino. Le donne lo snobbano perché non veste figo, non può permettersi che una bici scassata perché non ha il becco d’un quattrino, le vacanze le passa sempre tra i giardinetti ed il televisore. Ieri Gino ha preso una scala. Quindi è salito su d’una grande quercia al centro della sua città ed ha imbracciato un megafono. Poi ha iniziato ad urlare: “Voglio un lavoro! Voglio un lavorooo! Voglio un lavoroooo!”. Dopo pochi minuti sono giunte sul posto due pattuglie della Polizia ed una gazzella dei Carabinieri. Gino è stato arrestato. Su di lui sta indagando la Digos, poiché il suo gesto ha una innegabile evidenza politica. Dopo 8 ore d’interrogatorio è stato rilasciato. Sul suo conto è stato aperto un fascicolo in Procura. Nel suo gesto è evidente l’intento sedizioso, la sfida allo stato, l’aggressione alle istituzioni. Il fatto che Gino sia laureato è l’aggravante che potrebbe dimostrare la sua appartenenza a gruppuscoli della disobbedienza sociale. Ai genitori è stato detto d’iniziarsi a fare il segno della croce, perché c’è carne sul fuoco per un bel processo, e gli avvocati penalisti costano.
Un gruppo di studenti universitari ha trascorso pochi giorni fa una notte di bisbocce nei locali di Testaccio, a pochi passi dai costoni del Tevere. Era notte fonda, forse intorno alle quattro, quando uno del gruppo ha invitato gli amici a scendere lungo le scalinate di pietra che costeggiano il fiume. Ivan ha domandato a Pietro cosa si sentisse. Il giovane ha risposto “voglio andare vicino al fiume, mi viene da rimettere”. Erano tutti lì ammutoliti, guardavano il lento scorrere delle acque, e poi l’affiorare d’una grossa tartaruga d’acqua dolce. Il Tevere a quell’ora puzza di mare, pare sia il respiro delle alghe. Ad un certo punto un rumore ha attratto l’attenzione dei ragazzi. Dopo poco una vecchia bicicletta ha fatto capolino sotto la luce gialliccia dei grandi e fiochi lampioni. Una biciclo con freni a bacchetta, che forse percorre Roma dagli anni ‘30. Sopra vi sedeva un tipo originale: abito nero sdrucito, cappello a cilindro, barba e capelli incolti. L’uomo, d’età indecifrabile, impugnava contemporaneamente manubrio ed un grosso bustone di plastica. Di tanto in tanto estraeva un pezzo di pane bagnato e lo lanciava a ciurme di zoccole che chi correvano incontro. Il gesto si consumava con cotanta eleganza da lasciare ammutoliti i giovincelli. Ad un certo punto Pietro prese coraggio, andò incontro all’uomo. “Ciao, io sono Pietro. Ho sentito parlare di te da amici e gente più grande. Tu sei er Toparo de Roma. Forse è inutile che ti parli di decoro urbano o d’igiene pubblica. Potresti dirmi perché lo fai?”. L’uomo fermò la bici, fissò il ragazzo con il suo gotico sopracciglio e, in perfetto italiano e senza alcuna inflessione, sentenziò “per profondo disprezzo verso l’umanità”.
Ruggiero Capone
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