venerdì 3 maggio 2013

"Informazione di servizio"

Invito gli amici (almeno spero) a leggere IL PUNTO (www.ilpunto.it). Da circa un mesetto sono il nuovo direttore del settimanale IL PUNTO. Ergo, chi di voi ha da propormi inchieste, storie e questioni più o meno spiacevoli è pregato di scrivermi... Sul sito del Punto potrete trovare il mio blog istituzionale, nel frattempo questo rimane aperto come svago e diario per i vecchi amici.

Ruggiero Capone

giovedì 26 luglio 2012

Il patto Stato-Mafia si rinnova nel 2013


Il Pd di Bersani e l’Udc di Casini si sono stretti in un abbraccio storico, epico. Ora è legittimo che l’elettorato italiano si chieda chi sarà tra Pierferdy e Pierluigi il futuro leader da designare come premier. Già, dimenticavamo che la politica è sempre un passo avanti al popolo: entrambi farebbero un passo indietro a favore d’un Monti bis politico. È evidente che un siffatto abbraccio di fatto precluda al dialogo con l’Italia dei valori, con Di Pietro. E perché che c’azzecca l’Udc con l’Idv? Soprattutto come potrebbe mai il Pd fare una campagna elettorale toccando le note più alte dell’antimafia, ed avendo a proprio fianco l’Udc, il partito con più esponenti politici indagati e condannati per mafia? L’Udc è in fondo un partitino, forse non supera l’8%, però determina le maggioranze in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, dove localmente rinnova le abitudini politiche che Peppino Impastato condannava come “politica mafiosa”.
Oggi il Pd che, almeno a parole, dice d’aver introiettato la lezione di Impastato al punto da farne parte del proprio programma, stringe un patto d’acciaio con Casini. A questo punto Bersani dovrà spiegare all’elettorato di sinistra (e non solo) che l’Udc non è erede di quella Democrazia cristiana che avrebbe consigliato alla mafia d’uccidere Impastato, perché il giovane attivista infastidiva con un programma radiofonico i grandi elettori Diccì palermitani, impegnati nelle speculazioni edilizie e nello sfruttamento bracciantile. Lungi dall’accusare Bersani di volersi dividere con Casini il sostegno di quei “grandi elettori” ormai sparsi su tutto lo stivale, ed anche all’estero: non facciamo mistero del fatto che italiani nel mondo, siciliani nel mondo, calabresi nel mondo... tifino in gran parte per il vecchio Scudo crociato. Che bella società, pardon, che onorata società quella tra Udc e Pd. Ma il lettore potrebbe tornare a chiedersi che c’azzecca la mafia con i due Pier (sia Casini che Bersani sono emiliani purosangue). Niente.
Ma non possiamo dimenticare, ed in queste ore di nuove febbrili polemiche sulla “trattativa stato-mafia”, che nel 2000 i rapporti tra cooperative rosse (emiliane) e mafia portarono ben quindici ordini di custodia cautelare, su iniziativa della procura della Repubblica di Palermo. Lungi dal voler sostenere che le difficoltà delle politiche 2013 richiedano l’intervento corroborante di “Cosa nostra”, non possiamo dimenticare che, nei giorni successivi all’aprile 1982 e all’uccisione di Pio La Torre, l’allora procuratore capo di Palermo (Vincenzo Pajno) puntava il dito verso la pista interna al Pci. Vincenzo Pajno confezionava una apposita conferenza stampa, in cui parlava delle spartizioni tra coop rosse e mafia. All’epoca si ventilava circa pressioni romane, e perché la pista aperta da Pajno venisse abbandonata: anzi venne bollata come “un depistaggio”. Che il vecchio Pci avesse in Sicilia rapporti consolidati con grandi imprenditori e importanti mafiosi è storia risaputa. Qualche notabile ne parlava in giro con la massima disinvoltura, e per ammantare di filo-governativo il partito dei lavoratori. Napoleone Colajanni aveva addirittura raccontato con orgoglio d’aver preso i soldi “di persona, ma per il partito quando ero segretario della federazione di Palermo”. Ma anche altri prendevano soldi dalle stesse persone: soprattutto la Diccì aveva organizzato con la mafia che anche il Pci capisse l’importanza di mangiare dallo stesso piatto. I comunisti sostenevano fosse giusto e utile prendere quei quattrini per rafforzare il partito del proletariato.
E la Diccì era contenta, perché aveva fatto assaporare un po’ di Occidente ai discepoli di Mosca. «I soldi venivano consegnati interamente al partito e questo è moralmente ineccepibile», ripeteva Colajanni ai suoi compagni. Ma questa è una verità farisaica, degna di chi ha servito il Pci e non l’Italia, la Diccì e non l’Italia. L’elettorato si starà chiedendo se fossero a tal punto compromessi da provare dispiacere alla sola idea di non augurarsi un futuro patto stato-mafia? Hanno servito i loro partiti, godono di lussuose pensioni e, per un mero incidente di percorso, ora finiscono sul registro degli indagati. Molti di loro plaudono all’accordo tra Pd e Udc: avrebbero voluto vivere come giovani Pier (Ferdy o Luigi) questo epico 2013. Il povero Peppino Impastato, che aveva veramente lottato contro la mafia, è finito sotto terra. Ma il cinismo del momento chiede che il Pd sventoli il nome di Impastato, e che si dia a bere all’elettorato che Bersani incarni oggi la lotta alla mafia, ed in buona compagnia di Casini (genero di Caltagirone non certo di Impastato). E mica il Pci stava in Sicilia a pettinare le bambole o a tirare palline di pane ai colombi: quel Pci prendeva le tangenti dai mafiosi per edificare i nobili ideali del comunismo. L’elettorato si starà chiedendo se sia giusto che, forze politiche platealmente in lotta contro le mafie, adottino metodiche degne della migliore illegalità. Nell’ottobre del 2000, il Tribunale della Libertà s’esprimeva così a proposito degli indagati dalla Procura di Palermo: «Le cooperative rosse hanno stipulato accordi con i più alti vertici dell’associazione mafiosa per la gestione degli appalti pubblici». Sappiamo benissimo che le responsabilità penali sono personali, ma il Tribunale aveva usato il termine “cooperative rosse” alla stessa stregua di mafia o ‘ndrangheta. Non venivano chiamati in causa i singoli, bensì un sistema associativo contemplato nella Carta costituzionale (le cooperative). Decollava ai più alti livelli istituzionali un tamtam per mettere una pezza a questa vicenda.
Quasi che indagare sulle coop rosse fosse una sorta di lesa maestà. Nel febbraio 2001 venivano addirittura sequestrati beni e patrimoni delle coop. Addirittura un imprenditore del Pci venne considerato “anello di congiunzione tra mafia e Ds” e venne accusato di “concorso in associazione mafiosa”. In quella stessa Sicilia oggi viene nuovamente sollevato il polverone del patto “stato-mafia”. E nell’Isola, con molta probabilità, verrà rodato elettoralmente il patto Pd-Udc: diranno che il loro programma viene da lontano, che somma gli scritti di Impastato, Borsellino, Falcone... e tanti ci cascheranno e li voteranno. È un patto che viene da lontano, e si rinnova come nelle migliori tradizioni.

giovedì 25 febbraio 2010

Hanno aggredito Enzo Fragalà, grazie al suo aiuto ho potuto scivere BR ESOTERICHE

Enzo Fragalà è un mio amico, e l’idea che potesse incorrere in aggressioni non m’ha sfiorato, nemmeno ai tempi delle commissioni Stragi e Mitrokin. Da quando non aveva più impegni parlamentari romani s’era nuovamente concentrato sulla professione legale. E’ un valido avvocato penalista, sempre disponibile con chi terrorizzato da aule di tribunale e condanne. I Carabinieri ipotizzano una spedizione punitiva per uccidere Enzo Fragalà. C’è da chiedersi chi mai possa desiderare la morte d’una persona la cui principale passione è l’insegnamento e la ricerca storica. Negli ultimi tempi era tutto preso dall’insegnamento, presso la Facoltà di Scienze Politiche di Palermo. Il sogno d’insegnare storia non lo aveva mai celato. Fin dai tempi della commissione Stragi cercava di convincermi a scrivere un libro sulle Brigate Rosse: secondo lui “ne scrivono solo i comunisti, e questo non va bene”. M’aveva telefonato un paio di giorni fa. “Ruggiero sono riuscito ad ottenere la sala gialla di Palazzo dei Normanni, è la sede giusta per discorrere a Palermo d’eversione, anni di Piombo, misteri legati allo spionaggio comunista”: verso fine novembre 2009 era stato editato il mio ultimo libro (Br esoteriche), contiene una bella prefazione di Enzo Fragalà (che tiene tanto l’opera venta presentata nella sua amata Sicilia). L’amicizia tra lo scrivente e Fragalà nasce dai comuni trascorsi politici. Entrambi missini, avevamo subito creduto al centro-destra (al Polo delle Libertà) fin dal 1994. Optammo per la linea di Pinuccio Tatarella piuttosto che seguire Pino Rauti. Ricordo che il primo incarico che ricevette Enzo alla Camera dei Deputati fu proprio come componente della “Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili”. Ben due legislature nella cosiddetta commissione “stragi”, e poi è stato il membro della commissione d’inchiesta sul “Dossier Mitrokin” che ha tenuto in scacco tutti gli ex Pci confluiti nei Ds. Ed in quel periodo c’era da temere attacchi. Soprattutto dopo che Enzo aveva ricostruito il caso Litvinenko per la Mitrokin. “Alexandr Litvinenko aveva un fratello in Italia - mi disse Fragalà - e tramite Litvninenko sappiamo che Romano Prodi è stato uomo di punta del Kgb in Italia”.







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L’eco della denuncia di Fragalà raggiungeva l’europarlamentare Gerard Batten che, ad aprile 2006, informava il Parlamento dell’Ue che “a Litvinenko era stato riferito dal generale Anatolij Vasil’ evi? Trominov che Romano Prodi era ’our man’ del Kgb in Italia, e che Litvinenko stesso aveva dato questa informazione a Scaramella”. Colui che Litvinenko avrebbe citato come fonte, il generale Trofimov, era stato assassinato con la moglie a raffiche di mitra. Il periodo a cavallo tra 2005 e 2007 era davvero caldo per Enzo che, quotidianamente, faceva in modo che ai giornali vicini al centro-destra non mancassero informazioni sullo spionaggio comunista in Italia. Poi puntualmente informava la Procura di Roma su chi avesse, dal dopoguerra fino al 1989, operato lo spionaggio nei ministeri per favorire l’Unione sovietica. Enzo era davvero esposto a denunce e minacce di extraparlamentari. Eppure non aveva mai temuto nemmeno i fiancheggiatori delle Brigate Rosse, nuove o vecchie. Ora emerge che è più pericoloso fare l’avvocato ed il consigliere comunale a Palermo, rispetto al maneggiare notizie sugli avvelenamenti da polonio-210. Mai alcuna minaccia aveva raggiunto Fragalà quando indagava sul sushi bar nel pressi di Piccadilly Circus o sul Pine Bar del Millenium Hotel a Grosvenor Square: i due locali dove potrebbe essere stato avvelenato Litvinenko. Invece l’ex deputato di An viene aggredito a Palermo, e forse nemmeno da un mafioso, visto che non sono state usate armi da fuoco. Spiacerebbe davvero apprendere che, autore di quel gesto, possa essere un pregiudicato da lui difeso. Corre obbligo rammentare che Fragalà (già membro della Commissione Giustizia della Camera) lavorava per rendere le carceri più umane. Ha sempre creduto che un carcere vessatorio fosse da evitare.







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Un giorno, discutendo col radicale Maurizio Turco della legge di “stabilizzazione” del 41 bis, Fragalà disse “Secondo me, la maggior parte dei parlamentari non hanno sufficienti informazioni sul ’pianeta-carceri’: è un mondo piuttosto estraneo alla cultura politica corrente, sono pochi i parlamentari che si occupano delle prigioni o che seguono effettivamente le vicende carcerarie. Per quel che riguarda il problema della ‘stabilizzazione’, non c’è dubbio che questa sia elemento ulteriormente negativo, in quanto scarica sui detenuti prerogative che sono di competenza dello Stato”. “Nel momento in cui lo Stato immagina un sistema vessatorio nei confronti di determinati detenuti - sostiene Enzo - alcuni in stato di custodia cautelare, finisce col mostrare il fianco a fondate critiche di fuoriuscita dal vero dettato interpretativo costituzionale”. Enzo è un garantista, così raccontava al radicale il caso di un imprenditore trapanese e dell’ex sindaco di Castelvetrano: “ erano accusati di gravi delitti di mafia, sottoposti al regime di 41 bis e assolti dopo due anni di custodia cautelare, i quali hanno chiesto risarcimenti miliardari allo Stato. Un’altra anomalia del 41 bis rimane il fatto che esso viene applicato non solo a condannati di mafia che si ritengono particolarmente pericolosi, ma anche a incensurati in custodia cautelare che poi vengono assolti. Quindi, non c’è dubbio che, facendo ricorso alla Corte di Strasburgo, questi poi ottengano la condanna dell’Italia”. Enzo è un una persona pulita, e lo sanno bene anche gli inquirenti. I Carabinieri dicono “Tutte le piste sono ancora valide anche se quella che conduce alla criminalita organizzata potrebbe perdere di peso con il trascorrere delle ore”. Ed anche se per qualcuno la pista politica non è percorribile, non è escluso che gli inquirenti stiano già rivoltando come calzini gli eventuali nemici di Enzo nel sistema palermitano.

mercoledì 13 gennaio 2010

SOLIDARIETA' A PAOLINI

Evviva Paolini, non si può che esprimere solidarietà al disturbatore pubblico numero uno. Quindi dissentire con il mondo dell'informazione che, ipocritamente, ha espresso solidarietà alla giornalista del TG UNO Sonia Sarno. E' da ritenersi profondamente facile, oltremodo ovvio, fare il tiro a segno su Paolini. Ancor più scontata e banale la catena di solidarietà che, un corrotto e pippaoiolo mondo dell'informazione, s'è scatenato ad offrire alla Sarno. La Sarno è la giornalista in quota Lega al TG Uno. Crediamo che Paolini debba pareggiare il conto, atterrando e sgambettando altri giornalisti, in quota Pd, Pdl, Idv e ciarpame vario. Sarebbe un pratico esempio d'applicazione del manuale Cencelli alle "paolinate". Del resto se non ci fossero i Paolini a mettere una gamba dinnanzi a certi attrezzi dell'informazione chi mai ne intralcerebbe la strada? Quindi, da voce fuori dal coro, noi si grida "SOLIDARIETA' A PAOLINI".

giovedì 16 ottobre 2008

rimanete impassibili, tutto passa ma merita ugualmente d'essere notato

Oggi tutto va ben, madama la marchesa. Non si vede l’ora di sortir di casa. D’assaporare i dispiaceri altrui, di ridere delle disgrazie degli altri. Questa umanità non si rende ancora conto d’essere parte di una storia. Che ogni cosa che viviamo è solo un racconto. Carnefice e vittima recitano ruoli vicendevolmente intercambiabili, e vivere come morire sono le uniche certezze, tutto il resto è aleatorio ed emendabile.
Gino ha 30 anni, è laureato in fisica con il massimo dei voti (summa cum laude) e vive in un grande città del centro Italia. Ha fatto migliaia di domande ad aziende, ha partecipato ad innumerevoli concorsi, ha cercato lavoro in lungo ed in largo. Un lavoro all’università gli è precluso per motivi di censo (suo padre è un ferroviere in pensione), la scuola non ha bisogno di lui, le aziende altamente tecnologiche assumono genietti inglesi, tedeschi o giapponesi perché sono molto più trendy di Gino. Le donne lo snobbano perché non veste figo, non può permettersi che una bici scassata perché non ha il becco d’un quattrino, le vacanze le passa sempre tra i giardinetti ed il televisore. Ieri Gino ha preso una scala. Quindi è salito su d’una grande quercia al centro della sua città ed ha imbracciato un megafono. Poi ha iniziato ad urlare: “Voglio un lavoro! Voglio un lavorooo! Voglio un lavoroooo!”. Dopo pochi minuti sono giunte sul posto due pattuglie della Polizia ed una gazzella dei Carabinieri. Gino è stato arrestato. Su di lui sta indagando la Digos, poiché il suo gesto ha una innegabile evidenza politica. Dopo 8 ore d’interrogatorio è stato rilasciato. Sul suo conto è stato aperto un fascicolo in Procura. Nel suo gesto è evidente l’intento sedizioso, la sfida allo stato, l’aggressione alle istituzioni. Il fatto che Gino sia laureato è l’aggravante che potrebbe dimostrare la sua appartenenza a gruppuscoli della disobbedienza sociale. Ai genitori è stato detto d’iniziarsi a fare il segno della croce, perché c’è carne sul fuoco per un bel processo, e gli avvocati penalisti costano.
Un gruppo di studenti universitari ha trascorso pochi giorni fa una notte di bisbocce nei locali di Testaccio, a pochi passi dai costoni del Tevere. Era notte fonda, forse intorno alle quattro, quando uno del gruppo ha invitato gli amici a scendere lungo le scalinate di pietra che costeggiano il fiume. Ivan ha domandato a Pietro cosa si sentisse. Il giovane ha risposto “voglio andare vicino al fiume, mi viene da rimettere”. Erano tutti lì ammutoliti, guardavano il lento scorrere delle acque, e poi l’affiorare d’una grossa tartaruga d’acqua dolce. Il Tevere a quell’ora puzza di mare, pare sia il respiro delle alghe. Ad un certo punto un rumore ha attratto l’attenzione dei ragazzi. Dopo poco una vecchia bicicletta ha fatto capolino sotto la luce gialliccia dei grandi e fiochi lampioni. Una biciclo con freni a bacchetta, che forse percorre Roma dagli anni ‘30. Sopra vi sedeva un tipo originale: abito nero sdrucito, cappello a cilindro, barba e capelli incolti. L’uomo, d’età indecifrabile, impugnava contemporaneamente manubrio ed un grosso bustone di plastica. Di tanto in tanto estraeva un pezzo di pane bagnato e lo lanciava a ciurme di zoccole che chi correvano incontro. Il gesto si consumava con cotanta eleganza da lasciare ammutoliti i giovincelli. Ad un certo punto Pietro prese coraggio, andò incontro all’uomo. “Ciao, io sono Pietro. Ho sentito parlare di te da amici e gente più grande. Tu sei er Toparo de Roma. Forse è inutile che ti parli di decoro urbano o d’igiene pubblica. Potresti dirmi perché lo fai?”. L’uomo fermò la bici, fissò il ragazzo con il suo gotico sopracciglio e, in perfetto italiano e senza alcuna inflessione, sentenziò “per profondo disprezzo verso l’umanità”.
Ruggiero Capone

mercoledì 15 ottobre 2008

Cari potenti, leggete la parabola dei talenti

La storia delle società, scriveva Cechov, è la storia di come si viene incarcerati. Va aggiunto che ancor oggi la ricchezza di pochi si costruisce (nel nostro mondo) sempre e soltanto sulle tante povertà di tanti. Parimenti, le libertà delle classi alte sono da sempre state in contrasto con le limitazioni per i gruppi sociali svantaggiati, le cosiddette “classi pericolose”. Essere povero è per certi versi un delitto verso se stessi. Ma il mondo è fatto anche d’opportunità che un essere umano offre al proprio simile. Se questa società nega le possibilità di riscatto (forse rivalsa) come possono le classi povere risalire la china? E’ giusto un ritorno alla fissità pre-giacobina delle classi sociali? La parabola dei talenti è forse il modo più esemplificativo per dimostrare che l’uomo onesto non acciuffa le opportunità ma le aspetta. La parabola parla di un uomo che parte per un viaggio ed affida i propri beni ai suoi servi. Ad un servo affida cinque talenti, ad un secondo due talenti ed ad un terzo un talento. I primi due, sfruttando la somma ricevuta, riescono a raddoppiare le ricchezze. Il terzo invece va a nascondere il talento ricevuto. Quando il padrone fa ritorno, apprezza l’operato dei primi due servi; ma condanna il comportamento dell’ultimo. Chi governa un territorio dovrebbe comportarsi da uomo saggio, dare delle opportunità alle “classi pericolose”. Se ad una popolazione non si lascia possibilità di scelta tra fabbrica di beni terreni legali e trasporto abusivo d’immondizie, tra onestà e camorra, tra ricchezza d’animo e povertà di contenuti, non si saprà mai se chi nasce e muore a Sin City sia capace d’operare un cambiamento o meno. Bollare un popolo come reietto è troppo facile, non richiede alcun impegno culturale e politico.
C’è chi sostiene che nel nostro Occidente stiano aumentando numericamente i nuovi poveri, e che tra loro vi sarebbero ex impiegati, pensionati, disoccupati. E’ evidente che per ogni 10 nuovi poveri vi sarà certamente un ricco ancor più ricco. Questa affermazione non vuole certo istillare l’odio di classe (lo scrivente è anni luce lontano da certe strade). Ma serve a comprendere come il pianeta delle scimmie sia di gran lunga più vicino della Città del sole. Quella stupenda polis sulla linea dell’Equatore, che tanto somiglia alla Repubblica di Platone, è solo utopia. Fuori dalla porta della nostra casetta c’è fame e violenza, c’è solo un gorilla, armato di clava, sempre pronto a colpirci. La poca, e ben che vada scarsa, solidarietà tra noi uomini, allontana e scinde Potenza, Sapienza ed Amore in tre diversi corpi. Lupus est homo homini, sosteneva Plauto, e nel periodo volgare l’adagio divenne homo homini lupus: l’uomo è un lupo per l’altro uomo, per il suo simile. L’aforisma da immediata diagnosi della natura umana, fondamentalmente egoistica. Sintetizza le azioni dell’uomo nell’istinto di sopravvivenza e sopraffazione.
Nessuno si salva. Il peccato ci pervade. Si piange e si ride. Milan Kundera si dimostra ex delatore dei servizi segreti comunisti, ed in buona compagnia di Kapuscinski. E per entrambi l’ottima letteratura come espiazione al tanto male fatto ai propri simili. Del resto in Italia di esempi simili ne contiamo a bizzeffe, basterebbe enumerare tutti gli ex brigatisti oggi uomini di buone lettere. E che dire della integerrima Bruni Tedeschi in Sarkozy? Sia lei che la sorella attrice frequentano il salotto colto dei terroristi italiani in esilio a Parigi, soprattutto li difendono dalla giustizia del Belpaese. Da quando preferire un assassino ad un galantuomo è opera meritoria? Poi c’è il parlamentare Cicolani, vergogna della Pdl (giustamente inviso a Tremonti) che va in brodo di giuggiole ogni qual volta intravede uno spiraglio per salvare burocrati discutibili e boiardi di stato. Tutti in gara a dare opportunità a Caino. Intanto la gente onesta finisce in povertà od in galera, perché giudici e gendarmi alla Pinocchio trovano comodo perseguitare chi non ha più la forza economica per far fronte agli impegni imposti da questa società. Nella sola Roma più di cinquemila famiglie non hanno più diritto al credito perché la Gerit le ha inserite nella Crif, sistema d’informazione creditizia che bolla, e mette al bando, anche chi non ha più la forza economica per far fronte alle utenze od alle contravvenzioni. La gente si ribella dinnanzi ai portoni della Gerit, e le forze di polizia rincarano la dose: arrestano la povera gente per “interruzione di pubblico servizio”. Ma la Gerit è privata? E perché forse la Parmalat non era una struttura privata? Oggi Callisto Tanzi è libero, mentre i pensionati truffati dai titoli Parmalat (che alzarono la voce al processo, chiedendo la restituzione dei loro soldi) rischiano una seria condanna per oltraggio alla corte. La vita degli esclusi è di per se una condanna, e come suggeriva Kafka “ il condannato sembrava così bestialmente rassegnato che poteva essere lasciato libero di correre sulle colline, e un semplice fischio sarebbe stato sufficiente a farlo tornare in tempo per l’esecuzione”.
Ruggiero Capone

venerdì 22 febbraio 2008

LA NUOVA ETICA SU DI NOI

di Ruggiero Capone

Ad agosto 2005 il telespettatore italiano apprese che la bella Eva Mikula (ex fidanzata di Fabio Savi, leader della Banda della uno bianca) avrebbe partecipato ad un reality show. Che sarà mai, si saranno detti in molti: così una bella donna, ritenuta colpevole di concorso in rapina ed omicidio, non ha fatto carcere, anzi il crimine l’ha resa famosa, dandole la visibilità per fare prima la modella e poi l’attrice. Stessa sorte per Azouz Marzouk, i cui familiari sono periti sotto le coltellate dei coniugi di Erba: il marocchino, non sappiamo quanto affranto per la perdita, è finito al fresco per spaccio di droga. Niente paura, un sondaggio via internet l’ha bollato come il più affascinante pusher, così un importate agente lo avrebbe già contrattualizzato per il dopo carcere. Due giorni fa Raffaele Sollecito, uno degli indagati per l’omicidio di Perugia, s’è laureato in carcere: su internet le fan s’azzuffano per le sue foto.

Ed anche Amanda, altra ragazza finita in pasto alle cronache grazie all’omicidio di Perugia, ora sta raccogliendo proseliti in rete. E poi ci sono i coniugi di Erba, i cui diari del pentimento pare possano ben presto essere editati, del loro problema spirituale (del loro peso) se se sta occupando periodicamente Porta a Porta. Non ultimi nella graduatoria del crimine che paga ci sono Erika ed Omar, i due adolescenti omicidi di Novi Ligure, anche per loro dopo il carcere s’aprirebbe una vita tutta di celluloide. Intanto quest’ultimo fine settimana ha visto tanti ragazzi partire per Perugia, dove Patrick Lumumba ha inaugurato il suo nuovo locale: anche per lui il giallo di Perugia ha portato bene, ora che è stato scagionato può giocarsi tutto in tivù e feste. A questo punto la laica L’Opinione scuserà (spero) lo scrivente, che è qui per spiegarvi che il principe di questo mondo è l’Anticristo. L’Italia è la terra dove più sta concentrando i suoi sforzi.

Infatti sta lavorando per una felice soluzione del problema politico e sociale. Raggiungibile anche ignorando la diffusione di notizie grevi in televisione. Il “paese felice” deve sapere della festa di Lumumba ma non che a Napoli un disoccupato ha ucciso suo fratello anch’egli senza lavoro, che un certo signor Gino privo d’un braccio mantiene moglie e figli facendo il trasportatore abusivo di rifiuti, che ben cinque parlamentari di questa legislatura sono stati beccati a parlar male dei disoccupati e che Mediaset ne ha censurato le dichiarazioni per non rovinare il loro consenso (non certo per non offendere chi non ha un lavoro).
I discepoli dell’Anticristo dimostrano sempre più semplicità, rettitudine e bontà di cuore. Anche se dietro la loro beltade s’annida l’assoluto individualismo mascherato dall’ardente dedizione televisiva al bene comune. L’Anticristo ha preferito celebrare i processi in televisione perché tutti noi si possa essere giudici. Assistere alla grande festa dove presunti colpevoli e veline possano annacquare ogni colpa.

Nell’osservare questa mattanza dello spirito, sembra che da un momento all’altro la pace e la prosperità universale possano pioverci addosso. Questa inversione del buon senso e della spiritualità (scusatemi cari laici) mi sembra partorita troppo lontano dall’infanzia della mente e del cuore, mi sembra figlia d’una rubiconda Mammona che ama solo se stessa. Eppure chi manovra questo teatrino ha un talento eccezionale, e la bellezza dei suoi infelici ospiti galvanizza folle di telespettatori. E’ un rocambolesco gioco pagano, gli Dei cascano e si rialzano. Per merito della televisione il sangue diventa di plastica. Così l’uomo del Ventunesimo secolo scrive in maniera esemplificativamente evangelica la sua nuova vita quotidiana. Fatta di bene e male, ed entrambi fatti apparire dalla televisione come di plastica. Poi c’è la melassa buonista, che porta questi Dei buoni quasi a dirci “Cristo ha portato la spada, noi portiamo la pace, e speriamo che le vostre vite passino senza dolore, cloroformizzate dalla visione delle nostre”. Il perdono della Chiesa viene sostituito dalla quotidiana clemenza televisiva, che ridimensiona e poi svuota.

Una sorta di salvezza dell’umanità continua e preconfezionata. L’Anticristo sta relativizzando con nuovi evangelici esempi le nostre tante colpe, facendole apparire come televisivamente emendabili. Così non più il silenzio, il ripensamento od il rimorso, ma solo la celebrazione, che eleva l’autore (anche della più turpe nefandezza) al rango d’esempio sociale. E’ il caso di offendere questi neoevangelisti. Di chiamarli con il loro vero nome, cioè bestie ignoranti. Parlano di valori ed ospitano gente che dice di stare in politica per mettere a centro della propria azione i valori. Così capita che nelle trasmissioni tivù gli artefici dei misfatti si pentano e parlino delle loro esperienze con gente che dice di fare politica dei valori. Ed in tutto questo mostrarsi nessuno osa ammettere che questa è la nuova etica.