venerdì 26 ottobre 2007

Nell’Italia del terzo millennio continua la pantomima araldica nei concorsi interni

Tutti questi cavalieri in uffici e ministeri

Una carriera pataccara fatta di timbri di ceralacca acquistati a caro prezzo.
E chi se ne serve non lo fa sapere in giro

di Ruggiero Capone


“Amico caro, non riesco a fregare il collega nel concorso interno”, confessa rammaricato un dirigente sanitario. “Come mai?”, domanda incuriosito il politico. “Sai, abbiamo pari titolarità per anzianità di carriera e titoli”, ribatte il burocrate. “Eureka! - la butta il politico - procurati alla svelta un cavalierato di Malta, e quel posto ti prometto che sarà tuo”. Un colloquio di questo tipo sarà avvenuto milioni di volte nella nostra storia repubblicana, e per questo motivo s'invita la dirigenza pubblica a non indignarsi più del dovuto. Ma andiamo per gradi. “Spettabile direzione generale… si coglie l’occasione delle recenti nomine di dirigenza locale, Ausl, e nelle sedi distaccate del dicastero, per segnalare che ancora una volta l’abuso dei cavalierati ha costituito titolo di merito nelle nomine e nei concorsi…”. Questo è il contenuto d’una missiva che qualche tempo fa ha raggiunto i piani alti del ministero della Sanità. Una rapida indagine ha confermato che, tuttora, nei pubblici uffici l’avanzamento di grado continua ad essere garantito dalla presentazione di documenti (il più delle volte pergamene con sigilli in ceralacca) che comprovino l’appartenenza ad ordini equestri del dipendente pubblico. Così capita che due laureati con cinque anni di dirigenza pubblica (od in aziende partecipate dallo Stato), pubblicazioni universitarie e titoli di merito vari ed eventuali, risultino entrambi in corsa per la direzione generale d’una Ausl. Ma tra i due concorrenti, praticamente pari per titoli e meriti, vinca quello che presenti un titolo di cavalierato di Malta, o di Santo Sepolcro, o d’un qualsivoglia ordine Gerosolimitano. Di questa pratica nessuno parla, soprattutto pochi giornali si permettono di sputtanarla. Non è mistero che qualche giornalista (soprattutto in Rai) abbia venduto l’anima al diavolo per un ordine equestre. L’elargizione di questi titoli cavallereschi è garantita da associazioni ed ordini ai cui vertici spiccano amici degli eredi dei regnanti d’Italia e, in certi casi, alti dirigenti dello Stato che, dopo una rottura con la propria obbedienza (loggia massonica) ne hanno scismaticamente costituito una propria, collegata ad un ordine equestre caduto in disgrazia e, spesso, il cui ultimo rappresentante è un nobile tedesco, sabaudo o borbonico. Infatti questa abitudine di non umiliare con ranghi infimi il dipendente pubblico che comprova un cavalierato è costume diffuso nella vecchia Europa, dove le corone si sono ammodernate tecnologicamente, ma senza dismettere usi che poco hanno a che vedere con la meritocrazia e tanto con una fasulla visione aristocratica. Qualcuno si chiederà come possano interferire certi titoli nella gestione dello Stato, specie se consideriamo che la monarchia è stata sostituita dalla Repubblica e che i titoli nobiliari sono finiti in soffitta. Appunto in soffitta. Infatti illustri giuristi hanno ampiamente dimostrato che la “debellatio”, cioè la legge che abrogava per sempre in Italia i privilegi sabaudi e nobiliari, è stata solo parziale ed ha riguardato solo i titoli collegati direttamente alla Corona d'Italia. Soprattutto lo Stato ha, forse per una svista, fatto rientrare dalla finestra (e come alti dirigenti pubblici) tutti coloro che dimostravano il cavalierato. E chi più dei nobili aveva pratica negli ordini equestri? Così è successo che nel dopoguerra le carriere in ministeri come la Difesa, l’Agricoltura, la Sanità e, soprattutto, gli Esteri sono rimaste appannaggio dei nobiluomini. S’è aggiunto che negli anni tanta gente ha pensato di costruirsi la carriera non solo comprando i titoli di studio ma, per avanzare di grado, anche reperendo sul mercato certificazioni cavalleresche. Come ben noto, ambizione ed ignoranza sono una miscela infernale, capace di proiettare su vette di potere uomini che in epoche classiche non avrebbero mai potuto sperare in onorificenze cavalleresche: si sa che la bramosia di potere ed il coraggio risiedono di rado nello stesso individuo. Così capita che l’Ordine dei Cavalieri di Malta (quello vero) non riesca (o riesca di rado) a smascherare i tanti “alti dirigenti di Stato” (e non entriamo nel dettaglio) che sono assurti ad onori e glorie grazie ad un titolo comprato dalla “Federazione dei priori autonomi dei Cavalieri di Malta”. Struttura che annovera tra i suoi affiliati oltre un 20 per cento degli alti dirigenti italiani, tutta gente che grazie a politica ed offerte alla “Pro Deo University” è riuscita ad entrare in contatto con le università pubbliche italiane: territorio dei baroni, e può mai un barone negare la laurea riconosciuta nei concorsi ad un cavaliere?Ma nei ministeri di Esteri e di Difesa queste manovre sono alquanto difficili: lì la carriera è spianata ai veri cavalieri, a quelli che un casato comunque possono vantarlo. Diversa è la situazione della Sanità, soprattutto regionale. Invece non è un mistero che difficilmente gli enti locali verifichino se il Professor Dottor Cavalier è davvero tale o se si tratti d’un millantatore. E sempre più spesso capita che anonimi ragionieri di provincia, da tempo nei ruoli funzionali di enti locali, si affidino (forse spinti da avide mogli) tra le braccia di Domenico Massimiliano Molini di Valibona o di tale Guido Cornacchine (parente degenere del noto comico) e per ottenere un cavalierato di Malta. Il Molini di Valibona è noto internazionalmente come venditore di titoli, infatti dalla vicina Francia e dal Belgio lo contattano per ottenere l’accesso alla “Guardie d’onore di Napoleone”: un autentico esercito nobiliare con tanto di sovrani, fanteria e cavalieri, con migliaia d’affiliati in Europa. In Italia il Valibona può procurare al provincialotto con le tasche piene l’accesso alle guardie d’onore o l’accesso al Gran Magistero della Corona di Ferro (di carolingio retaggio). Ma il malevolo dipendente d’ente locale vuole altro, e sa che con un titolo di Cavaliere di Malta o con il Santo Sepolcro di Gerusalemme può facilmente fare le scarpe nei concorsi interni ai colleghi. Ma nelle sedi romane (ministeri ed enti) a farla da padrone è Jacopo Di Bernardo, figlio del gran maestro della massoneria Giuliano Di Bernardo (ben inserito anche nei Cavalieri Napoleonici). I Di Bernardo sono una tappa obbligata per il ministeriale che intenda raggiungere il titolo cavalleresco. Oggi migliaia di dirigenti pubblici stanno cercando di nascondere le carriere scalate a mezzadria tra politica politicante ed ordini cavallereschi. Ed a parte il generale dell’aviazione Carlo Vannoni, che non nasconde sia il suo cavalierato che l’appartenenza alla Gran Loggia di Palazzo Vitelleschi, solo il commissario straordinario del Comune di Abano terme (dipendente del Viminale) Abramo Barillari, il comandante dei Carabinieri Fabio De Rosa, il presidente del Consorzio Terme Euganee Enzo Bretella, il dottor Leopoldo Rizzi della Regione Veneto, il professor Antonio Virgili dell’Università di Napoli hanno ammesso le simpatie cavalleresche. Il resto dell’Italia burocratica tace, soprattutto a Roma, dove illustri cavalieri, che hanno scalato le vette dei ministeri, oggi siedono tra i probi viri di fondazioni messe su dai politici (sia di destra che di sinistra come di centro). Al fascino del cavalier trombone di ministero non sfuggono né Fini né D’Alema, né tanto meno il mare magnum di centrini da strapazzo. Forse l’unico che ride di queste cose è Berlusconi, per altro Cavaliere del Lavoro. E dietro tutto questo folklore si celano interessi per milioni di euro che le fondazioni, grazie ai collegamenti con i Caaf sindacali, riescono a farsi concedere dalle tasse dei contribuenti. E come se non bastasse, oggi queste strutture, molto cavallerescamente, si spacciano per le uniche tenute ad amministrare cultura, editoria ed amministrazione dei partiti politici. Insomma, l’Italia non ce la fa proprio a godersi la libertà. Così un tempo era suddita dei Savoia, poi della politica arrogante ed oggi non fa caso al terribile partito degli avidi burocrati, cavalieri solo sulla carta, che muovono le fila di fondazioni ed enti filantropici.Eppure dall’epoca classica fino al primo ventennio del secolo passato, il cavalierato era considerato un rango politico-aristocratico (quindi sociale) riconosciuto a chi difendeva l’onore della propria comunità in guerra, contro le angherie esterne ed interne. Soprattutto il cavaliere faceva uso con destrezza di cavallo ed arma lunga (un tempo pesante) e questo lo distingueva dal fante (relegato a spostarsi a piedi e munito di bastone ed arma corta). Anche se qualcuno sostiene che anche in passato succedeva che le raccomandazioni trasformassero un tracagnotto vile in cavaliere ed un gentile e coraggioso ragazzo solo un fante. Ed allora diamoci sotto con titolo cavalleresco, parrucca e cipria, la restaurazione capetingia monta per palazzi e ministeri, e male che vada si può sempre dire d’averci provato.


Aspetto un po di vostre storie, bastevoli a farci tutti incazzare ancor più.

Ruggiero Capone

1 commento:

Nico Valerio ha detto...

Ehilà, complimenti Ruggiero, una inchiesta vera e propria. Materia di cui non sapevo quasi nulla. Sembra incredibile che certi titoli valgano per i concorsi interni pubblici.
E dire che io a 18 anni, per avere più punti ed essere accettato in Accademia Aeronatica (ruolo logistico, attenzione, non piloti) dovetti imparare a... pilotare un aereo.
Frequentai un rischioso corso di una settimana a Gorizia dove imparai l'abc del volo aereo teorico e pratico, e pilotai coi doppi comandi - ma facevo tutto io: picchiate comprese... - un Macchi 308 (lo vedi sul mio blog cercando nel motore di ricerca interno) e un aliante. Per 1 ora di volo in totale (è molto)
Bei tempi. Così imparai a guidare l'aereo prima dell'automobile...
ciao
Nico Valerio,
nicovalerio@tin.it

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