I termini sovrastrutturali “destra” e “sinistra” sono morti. La gente parteggia per gli uomini, pro e contro.
di Ruggiero Capone
Cari Oni, sia consentita questa contrazione che tanto sa di buon vecchio sanscrito, ma è il modo più semplice per scrivervi. Infatti in Italia non abbiamo che due certezze politiche, o si finirà governati da Berlusconi o da Veltroni, e comunque Oni è la giusta sintesi per forze che tanto si rassomigliano. Qualcuno obietterà che comunque è un bel passo avanti, infatti se passati dalla fase arcaica degli Is (De Pretis) agli Itti (Giolitti), quindi s'è iniziati a crescere e ci si è ritrovati Ini (Mussolini), oggi che s'è maturi non ci si aspetta altro che essere Oni. Ci si chiede come poi si farà a dir che gli italiani sono una massa d'oni se poi votan per Veltroni. Ma non addentriamoci in questo circolo vizioso, sarebbe oltremodo faustiano se due politici si guardassero allo specchio e si sentissero politicamente dei sosia. Dei sosia per metodi, uomini (grandi transumatori), proposte, amici.
Ma quello che si nota in politica è oro. Infatti nessuno poteva prevedere che una legione d’uomini tutti uguali e tutti egualmente mediocri si stesse moltiplicando, insinuando i propri tentacoli nella stampa, nell’istruzione, nella politica e nella cultura. E questa torma di insipidi si spera possa essere fermata sia da Berlusconi che da Veltroni. Si auspica che gli Oni mostrino gli attributi, ripristinando la ormai invertita scala valoriale, caricando sulla dirigenza di questo paese il giusto fardello (non caricare mai sull'uomo un fardello superiore alle sue forze raccomandava il buon Tertulliano). Quindi si consiglia agli Oni, e prima di giurare per un prossimo governo, la lettura di “Processo agli imbecilli”, opera del francese Jean-Marie Benoist, allievo di Claude Levi-Strauss, che dopo essere stato attaché culturale all’ambasciata francese a Londra, partiva lancia in resta contro i “nuovi maestri”, quelli che impongono un sapere rozzo e semplificato, strumento di tirannia, spettro livellatore di uniformità telegenico-psicofisica. La domanda sorge spontanea: come si può perdonare alla “Oni generation” la creazione d’una manodopera intellettuale anonima ed intercambiabile, che poi è il traguardo di tutti i regimi che cercano il consenso delle masse? E' semplice, entrambi gli Oni devono prendere coscienza che nuovi maestri vi usano, vi crocifiggono e spremono. I nuovi maestri, e questo Berlusconi forse non vuole comprenderlo, usano la stupidità saccente per muovere sempre più brutali attacchi alle diversità del corpo sociale italiano. Tentando di far tacere ogni voce singola.
Poi, caro Berlusconi, la sua rivoluzione è fallita perché il peso del gruppo (della massa) ha soffocato la caratteristica pluri-individuale di Forza Italia, il senso di libertà per intenderci. A lei caro Berlusconi l’Italia deve tanto, ma non si può perdonarle di non aver ascoltato chi la metteva in guardia dai manager senz’anima, maniaci dell’organizzazione, megere dell’intrattenimento, progressisti che hanno imposto i nuovi dogmi e rituali a dispregio della tradizione politica da lei rappresentata, ma abusando sempre e comunque dei suoi mezzi economico-comunicazionali. Caro Cavaliere perché le sue televisioni insistono nell’affidare programmi a pedagoghi dell’amnesia, che trasformano i giovani in perfetti ingranaggi dell’apparato nemico delle libertà? E lei caro Veltroni perché non ammette di far parte d'un incantesimo che sta riportando l'Italia al '700, epoca della fissità sociale delle classi? Infatti come può più un operaio, un manovale ed un colto diseredato sperare che il suo partito difenda gli esclusi?
Cari Oni guardatevi dal potere della tecnocrazia che oggi vi lusinga, è pronto a servire qualsiasi padrone, si tratti del materialismo volgare o della nuova religione di stato. La libertà s’esprime nel non conformismo degli individui, difendetela cari Oni. Purtroppo s'è coscienti che Camus, Dostoevskij, Bernanos, Nietzsche, qualora redivivi, verrebbero ignorati, tuttalpiù invitati in un ristorante televisivo dove, per compiacere il popolo bue di crociana memoria, si metterebbe loro accanto un cafone abbronzato. Quest’ultimo, per divertire il telespettatore, avrebbe l’ingrato compito del boia mediatico. Cioè far passare per coglione anacronistico il pensatore. Sì coglione, al pari di quelli che Berlusconi ha stigmatizzato come elettori del centro-sinistra. Lei, caro Cavaliere, obietterà che anche Prodi ha fallito e che lei tornerà al governo, perché la gente vota l’uomo e non più programmi ed idee (porzioni residuali del secolo breve). Ed allora, cari Oni, si vuol regalare un pensiero, merce che oggi vale zero, ad entrambi, abbinato ad una verità storica che vi farà piacere scoprire: dopo poco più di duecento anni i termini sovrastrutturali “destra” e “sinistra” sono morti. La gente parteggia per gli uomini, pro e contro. Berlusconi, D’Alema, Veltroni, Mastella, Fini, Rutelli, Casini, Bertinotti, Bossi (qualcuno scuserà la non menzione) sono ormai nomi di duchi longobardi in epoca di gran confusione medievale, o di baroni nelle Due Sicilie barocche. Ognuno di loro è signore del proprio elettorato. Ognuno muove contro l’altro, ed in vicendevole alleanza, dimenticando da dove viene. Destra e sinistra sono morte e con lei noi. Non serve più l’intellettuale, servo della res publica, ma il giullare schierato che diverte ogni singola corte. Non serve più il giornalista, ma un esecutore d’ordini in decente sintassi. Non serve più tradurre ed interpretare i classici, perché la gente del borgo vive di cultura orecchiata. S’è tornati alla tradizione orale, ed il cantastorie ha accesso al borgo solo quando è nel novero degli amici del signore. Oni, difendeteci dalla casalinga di Voghera con velleità televisive, dal musicista esperto in karaoke, dal politico che scambia Palazzeschi per una agenzia concorrente di Toscano immobiliare, dal parlamentare che non sa cos’è una copertura di bilancio e vota per la Finanziaria, da chi sostiene che il teatro annoia ed i reality show fanno passare la serata, da chi pensa che Murat sia stato un ricco commerciate di sigarette, da chi pensa che Livingstone abbia fatto una comparsata in Indiana Jones, da chi sostiene che Mare Nostrum è il nomignolo d’una spiaggia frequentata da politici della passata repubblica. Oni è troppo tardi, abbiamo perso. Ed è grama consolazione sapere che un giorno delle delicate mani faranno riaffiorare questa epica (speriamo) battaglia tra i liberi difensori della nostra storia di libertà e quell’esercito dei barbari cibernetici che considerate vostri amici-elettori.
lunedì 12 novembre 2007
venerdì 26 ottobre 2007
Nell’Italia del terzo millennio continua la pantomima araldica nei concorsi interni
Tutti questi cavalieri in uffici e ministeri
Una carriera pataccara fatta di timbri di ceralacca acquistati a caro prezzo.
E chi se ne serve non lo fa sapere in giro
di Ruggiero Capone
“Amico caro, non riesco a fregare il collega nel concorso interno”, confessa rammaricato un dirigente sanitario. “Come mai?”, domanda incuriosito il politico. “Sai, abbiamo pari titolarità per anzianità di carriera e titoli”, ribatte il burocrate. “Eureka! - la butta il politico - procurati alla svelta un cavalierato di Malta, e quel posto ti prometto che sarà tuo”. Un colloquio di questo tipo sarà avvenuto milioni di volte nella nostra storia repubblicana, e per questo motivo s'invita la dirigenza pubblica a non indignarsi più del dovuto. Ma andiamo per gradi. “Spettabile direzione generale… si coglie l’occasione delle recenti nomine di dirigenza locale, Ausl, e nelle sedi distaccate del dicastero, per segnalare che ancora una volta l’abuso dei cavalierati ha costituito titolo di merito nelle nomine e nei concorsi…”. Questo è il contenuto d’una missiva che qualche tempo fa ha raggiunto i piani alti del ministero della Sanità. Una rapida indagine ha confermato che, tuttora, nei pubblici uffici l’avanzamento di grado continua ad essere garantito dalla presentazione di documenti (il più delle volte pergamene con sigilli in ceralacca) che comprovino l’appartenenza ad ordini equestri del dipendente pubblico. Così capita che due laureati con cinque anni di dirigenza pubblica (od in aziende partecipate dallo Stato), pubblicazioni universitarie e titoli di merito vari ed eventuali, risultino entrambi in corsa per la direzione generale d’una Ausl. Ma tra i due concorrenti, praticamente pari per titoli e meriti, vinca quello che presenti un titolo di cavalierato di Malta, o di Santo Sepolcro, o d’un qualsivoglia ordine Gerosolimitano. Di questa pratica nessuno parla, soprattutto pochi giornali si permettono di sputtanarla. Non è mistero che qualche giornalista (soprattutto in Rai) abbia venduto l’anima al diavolo per un ordine equestre. L’elargizione di questi titoli cavallereschi è garantita da associazioni ed ordini ai cui vertici spiccano amici degli eredi dei regnanti d’Italia e, in certi casi, alti dirigenti dello Stato che, dopo una rottura con la propria obbedienza (loggia massonica) ne hanno scismaticamente costituito una propria, collegata ad un ordine equestre caduto in disgrazia e, spesso, il cui ultimo rappresentante è un nobile tedesco, sabaudo o borbonico. Infatti questa abitudine di non umiliare con ranghi infimi il dipendente pubblico che comprova un cavalierato è costume diffuso nella vecchia Europa, dove le corone si sono ammodernate tecnologicamente, ma senza dismettere usi che poco hanno a che vedere con la meritocrazia e tanto con una fasulla visione aristocratica. Qualcuno si chiederà come possano interferire certi titoli nella gestione dello Stato, specie se consideriamo che la monarchia è stata sostituita dalla Repubblica e che i titoli nobiliari sono finiti in soffitta. Appunto in soffitta. Infatti illustri giuristi hanno ampiamente dimostrato che la “debellatio”, cioè la legge che abrogava per sempre in Italia i privilegi sabaudi e nobiliari, è stata solo parziale ed ha riguardato solo i titoli collegati direttamente alla Corona d'Italia. Soprattutto lo Stato ha, forse per una svista, fatto rientrare dalla finestra (e come alti dirigenti pubblici) tutti coloro che dimostravano il cavalierato. E chi più dei nobili aveva pratica negli ordini equestri? Così è successo che nel dopoguerra le carriere in ministeri come la Difesa, l’Agricoltura, la Sanità e, soprattutto, gli Esteri sono rimaste appannaggio dei nobiluomini. S’è aggiunto che negli anni tanta gente ha pensato di costruirsi la carriera non solo comprando i titoli di studio ma, per avanzare di grado, anche reperendo sul mercato certificazioni cavalleresche. Come ben noto, ambizione ed ignoranza sono una miscela infernale, capace di proiettare su vette di potere uomini che in epoche classiche non avrebbero mai potuto sperare in onorificenze cavalleresche: si sa che la bramosia di potere ed il coraggio risiedono di rado nello stesso individuo. Così capita che l’Ordine dei Cavalieri di Malta (quello vero) non riesca (o riesca di rado) a smascherare i tanti “alti dirigenti di Stato” (e non entriamo nel dettaglio) che sono assurti ad onori e glorie grazie ad un titolo comprato dalla “Federazione dei priori autonomi dei Cavalieri di Malta”. Struttura che annovera tra i suoi affiliati oltre un 20 per cento degli alti dirigenti italiani, tutta gente che grazie a politica ed offerte alla “Pro Deo University” è riuscita ad entrare in contatto con le università pubbliche italiane: territorio dei baroni, e può mai un barone negare la laurea riconosciuta nei concorsi ad un cavaliere?Ma nei ministeri di Esteri e di Difesa queste manovre sono alquanto difficili: lì la carriera è spianata ai veri cavalieri, a quelli che un casato comunque possono vantarlo. Diversa è la situazione della Sanità, soprattutto regionale. Invece non è un mistero che difficilmente gli enti locali verifichino se il Professor Dottor Cavalier è davvero tale o se si tratti d’un millantatore. E sempre più spesso capita che anonimi ragionieri di provincia, da tempo nei ruoli funzionali di enti locali, si affidino (forse spinti da avide mogli) tra le braccia di Domenico Massimiliano Molini di Valibona o di tale Guido Cornacchine (parente degenere del noto comico) e per ottenere un cavalierato di Malta. Il Molini di Valibona è noto internazionalmente come venditore di titoli, infatti dalla vicina Francia e dal Belgio lo contattano per ottenere l’accesso alla “Guardie d’onore di Napoleone”: un autentico esercito nobiliare con tanto di sovrani, fanteria e cavalieri, con migliaia d’affiliati in Europa. In Italia il Valibona può procurare al provincialotto con le tasche piene l’accesso alle guardie d’onore o l’accesso al Gran Magistero della Corona di Ferro (di carolingio retaggio). Ma il malevolo dipendente d’ente locale vuole altro, e sa che con un titolo di Cavaliere di Malta o con il Santo Sepolcro di Gerusalemme può facilmente fare le scarpe nei concorsi interni ai colleghi. Ma nelle sedi romane (ministeri ed enti) a farla da padrone è Jacopo Di Bernardo, figlio del gran maestro della massoneria Giuliano Di Bernardo (ben inserito anche nei Cavalieri Napoleonici). I Di Bernardo sono una tappa obbligata per il ministeriale che intenda raggiungere il titolo cavalleresco. Oggi migliaia di dirigenti pubblici stanno cercando di nascondere le carriere scalate a mezzadria tra politica politicante ed ordini cavallereschi. Ed a parte il generale dell’aviazione Carlo Vannoni, che non nasconde sia il suo cavalierato che l’appartenenza alla Gran Loggia di Palazzo Vitelleschi, solo il commissario straordinario del Comune di Abano terme (dipendente del Viminale) Abramo Barillari, il comandante dei Carabinieri Fabio De Rosa, il presidente del Consorzio Terme Euganee Enzo Bretella, il dottor Leopoldo Rizzi della Regione Veneto, il professor Antonio Virgili dell’Università di Napoli hanno ammesso le simpatie cavalleresche. Il resto dell’Italia burocratica tace, soprattutto a Roma, dove illustri cavalieri, che hanno scalato le vette dei ministeri, oggi siedono tra i probi viri di fondazioni messe su dai politici (sia di destra che di sinistra come di centro). Al fascino del cavalier trombone di ministero non sfuggono né Fini né D’Alema, né tanto meno il mare magnum di centrini da strapazzo. Forse l’unico che ride di queste cose è Berlusconi, per altro Cavaliere del Lavoro. E dietro tutto questo folklore si celano interessi per milioni di euro che le fondazioni, grazie ai collegamenti con i Caaf sindacali, riescono a farsi concedere dalle tasse dei contribuenti. E come se non bastasse, oggi queste strutture, molto cavallerescamente, si spacciano per le uniche tenute ad amministrare cultura, editoria ed amministrazione dei partiti politici. Insomma, l’Italia non ce la fa proprio a godersi la libertà. Così un tempo era suddita dei Savoia, poi della politica arrogante ed oggi non fa caso al terribile partito degli avidi burocrati, cavalieri solo sulla carta, che muovono le fila di fondazioni ed enti filantropici.Eppure dall’epoca classica fino al primo ventennio del secolo passato, il cavalierato era considerato un rango politico-aristocratico (quindi sociale) riconosciuto a chi difendeva l’onore della propria comunità in guerra, contro le angherie esterne ed interne. Soprattutto il cavaliere faceva uso con destrezza di cavallo ed arma lunga (un tempo pesante) e questo lo distingueva dal fante (relegato a spostarsi a piedi e munito di bastone ed arma corta). Anche se qualcuno sostiene che anche in passato succedeva che le raccomandazioni trasformassero un tracagnotto vile in cavaliere ed un gentile e coraggioso ragazzo solo un fante. Ed allora diamoci sotto con titolo cavalleresco, parrucca e cipria, la restaurazione capetingia monta per palazzi e ministeri, e male che vada si può sempre dire d’averci provato.
Aspetto un po di vostre storie, bastevoli a farci tutti incazzare ancor più.
Ruggiero Capone
Tutti questi cavalieri in uffici e ministeri
Una carriera pataccara fatta di timbri di ceralacca acquistati a caro prezzo.
E chi se ne serve non lo fa sapere in giro
di Ruggiero Capone
“Amico caro, non riesco a fregare il collega nel concorso interno”, confessa rammaricato un dirigente sanitario. “Come mai?”, domanda incuriosito il politico. “Sai, abbiamo pari titolarità per anzianità di carriera e titoli”, ribatte il burocrate. “Eureka! - la butta il politico - procurati alla svelta un cavalierato di Malta, e quel posto ti prometto che sarà tuo”. Un colloquio di questo tipo sarà avvenuto milioni di volte nella nostra storia repubblicana, e per questo motivo s'invita la dirigenza pubblica a non indignarsi più del dovuto. Ma andiamo per gradi. “Spettabile direzione generale… si coglie l’occasione delle recenti nomine di dirigenza locale, Ausl, e nelle sedi distaccate del dicastero, per segnalare che ancora una volta l’abuso dei cavalierati ha costituito titolo di merito nelle nomine e nei concorsi…”. Questo è il contenuto d’una missiva che qualche tempo fa ha raggiunto i piani alti del ministero della Sanità. Una rapida indagine ha confermato che, tuttora, nei pubblici uffici l’avanzamento di grado continua ad essere garantito dalla presentazione di documenti (il più delle volte pergamene con sigilli in ceralacca) che comprovino l’appartenenza ad ordini equestri del dipendente pubblico. Così capita che due laureati con cinque anni di dirigenza pubblica (od in aziende partecipate dallo Stato), pubblicazioni universitarie e titoli di merito vari ed eventuali, risultino entrambi in corsa per la direzione generale d’una Ausl. Ma tra i due concorrenti, praticamente pari per titoli e meriti, vinca quello che presenti un titolo di cavalierato di Malta, o di Santo Sepolcro, o d’un qualsivoglia ordine Gerosolimitano. Di questa pratica nessuno parla, soprattutto pochi giornali si permettono di sputtanarla. Non è mistero che qualche giornalista (soprattutto in Rai) abbia venduto l’anima al diavolo per un ordine equestre. L’elargizione di questi titoli cavallereschi è garantita da associazioni ed ordini ai cui vertici spiccano amici degli eredi dei regnanti d’Italia e, in certi casi, alti dirigenti dello Stato che, dopo una rottura con la propria obbedienza (loggia massonica) ne hanno scismaticamente costituito una propria, collegata ad un ordine equestre caduto in disgrazia e, spesso, il cui ultimo rappresentante è un nobile tedesco, sabaudo o borbonico. Infatti questa abitudine di non umiliare con ranghi infimi il dipendente pubblico che comprova un cavalierato è costume diffuso nella vecchia Europa, dove le corone si sono ammodernate tecnologicamente, ma senza dismettere usi che poco hanno a che vedere con la meritocrazia e tanto con una fasulla visione aristocratica. Qualcuno si chiederà come possano interferire certi titoli nella gestione dello Stato, specie se consideriamo che la monarchia è stata sostituita dalla Repubblica e che i titoli nobiliari sono finiti in soffitta. Appunto in soffitta. Infatti illustri giuristi hanno ampiamente dimostrato che la “debellatio”, cioè la legge che abrogava per sempre in Italia i privilegi sabaudi e nobiliari, è stata solo parziale ed ha riguardato solo i titoli collegati direttamente alla Corona d'Italia. Soprattutto lo Stato ha, forse per una svista, fatto rientrare dalla finestra (e come alti dirigenti pubblici) tutti coloro che dimostravano il cavalierato. E chi più dei nobili aveva pratica negli ordini equestri? Così è successo che nel dopoguerra le carriere in ministeri come la Difesa, l’Agricoltura, la Sanità e, soprattutto, gli Esteri sono rimaste appannaggio dei nobiluomini. S’è aggiunto che negli anni tanta gente ha pensato di costruirsi la carriera non solo comprando i titoli di studio ma, per avanzare di grado, anche reperendo sul mercato certificazioni cavalleresche. Come ben noto, ambizione ed ignoranza sono una miscela infernale, capace di proiettare su vette di potere uomini che in epoche classiche non avrebbero mai potuto sperare in onorificenze cavalleresche: si sa che la bramosia di potere ed il coraggio risiedono di rado nello stesso individuo. Così capita che l’Ordine dei Cavalieri di Malta (quello vero) non riesca (o riesca di rado) a smascherare i tanti “alti dirigenti di Stato” (e non entriamo nel dettaglio) che sono assurti ad onori e glorie grazie ad un titolo comprato dalla “Federazione dei priori autonomi dei Cavalieri di Malta”. Struttura che annovera tra i suoi affiliati oltre un 20 per cento degli alti dirigenti italiani, tutta gente che grazie a politica ed offerte alla “Pro Deo University” è riuscita ad entrare in contatto con le università pubbliche italiane: territorio dei baroni, e può mai un barone negare la laurea riconosciuta nei concorsi ad un cavaliere?Ma nei ministeri di Esteri e di Difesa queste manovre sono alquanto difficili: lì la carriera è spianata ai veri cavalieri, a quelli che un casato comunque possono vantarlo. Diversa è la situazione della Sanità, soprattutto regionale. Invece non è un mistero che difficilmente gli enti locali verifichino se il Professor Dottor Cavalier è davvero tale o se si tratti d’un millantatore. E sempre più spesso capita che anonimi ragionieri di provincia, da tempo nei ruoli funzionali di enti locali, si affidino (forse spinti da avide mogli) tra le braccia di Domenico Massimiliano Molini di Valibona o di tale Guido Cornacchine (parente degenere del noto comico) e per ottenere un cavalierato di Malta. Il Molini di Valibona è noto internazionalmente come venditore di titoli, infatti dalla vicina Francia e dal Belgio lo contattano per ottenere l’accesso alla “Guardie d’onore di Napoleone”: un autentico esercito nobiliare con tanto di sovrani, fanteria e cavalieri, con migliaia d’affiliati in Europa. In Italia il Valibona può procurare al provincialotto con le tasche piene l’accesso alle guardie d’onore o l’accesso al Gran Magistero della Corona di Ferro (di carolingio retaggio). Ma il malevolo dipendente d’ente locale vuole altro, e sa che con un titolo di Cavaliere di Malta o con il Santo Sepolcro di Gerusalemme può facilmente fare le scarpe nei concorsi interni ai colleghi. Ma nelle sedi romane (ministeri ed enti) a farla da padrone è Jacopo Di Bernardo, figlio del gran maestro della massoneria Giuliano Di Bernardo (ben inserito anche nei Cavalieri Napoleonici). I Di Bernardo sono una tappa obbligata per il ministeriale che intenda raggiungere il titolo cavalleresco. Oggi migliaia di dirigenti pubblici stanno cercando di nascondere le carriere scalate a mezzadria tra politica politicante ed ordini cavallereschi. Ed a parte il generale dell’aviazione Carlo Vannoni, che non nasconde sia il suo cavalierato che l’appartenenza alla Gran Loggia di Palazzo Vitelleschi, solo il commissario straordinario del Comune di Abano terme (dipendente del Viminale) Abramo Barillari, il comandante dei Carabinieri Fabio De Rosa, il presidente del Consorzio Terme Euganee Enzo Bretella, il dottor Leopoldo Rizzi della Regione Veneto, il professor Antonio Virgili dell’Università di Napoli hanno ammesso le simpatie cavalleresche. Il resto dell’Italia burocratica tace, soprattutto a Roma, dove illustri cavalieri, che hanno scalato le vette dei ministeri, oggi siedono tra i probi viri di fondazioni messe su dai politici (sia di destra che di sinistra come di centro). Al fascino del cavalier trombone di ministero non sfuggono né Fini né D’Alema, né tanto meno il mare magnum di centrini da strapazzo. Forse l’unico che ride di queste cose è Berlusconi, per altro Cavaliere del Lavoro. E dietro tutto questo folklore si celano interessi per milioni di euro che le fondazioni, grazie ai collegamenti con i Caaf sindacali, riescono a farsi concedere dalle tasse dei contribuenti. E come se non bastasse, oggi queste strutture, molto cavallerescamente, si spacciano per le uniche tenute ad amministrare cultura, editoria ed amministrazione dei partiti politici. Insomma, l’Italia non ce la fa proprio a godersi la libertà. Così un tempo era suddita dei Savoia, poi della politica arrogante ed oggi non fa caso al terribile partito degli avidi burocrati, cavalieri solo sulla carta, che muovono le fila di fondazioni ed enti filantropici.Eppure dall’epoca classica fino al primo ventennio del secolo passato, il cavalierato era considerato un rango politico-aristocratico (quindi sociale) riconosciuto a chi difendeva l’onore della propria comunità in guerra, contro le angherie esterne ed interne. Soprattutto il cavaliere faceva uso con destrezza di cavallo ed arma lunga (un tempo pesante) e questo lo distingueva dal fante (relegato a spostarsi a piedi e munito di bastone ed arma corta). Anche se qualcuno sostiene che anche in passato succedeva che le raccomandazioni trasformassero un tracagnotto vile in cavaliere ed un gentile e coraggioso ragazzo solo un fante. Ed allora diamoci sotto con titolo cavalleresco, parrucca e cipria, la restaurazione capetingia monta per palazzi e ministeri, e male che vada si può sempre dire d’averci provato.
Aspetto un po di vostre storie, bastevoli a farci tutti incazzare ancor più.
Ruggiero Capone
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